RACCONTI E PREMIAZIONI CONCORSI LETTERARI


FEBBRAIO 2013 "I racconti della Foresta". Due le sezioni in gara, una riservata al Corpo forestale dello Stato, l'altra, pubblica, vinta da questo racconto:

Juglans regia
Sono sempre stato qui, osservo immobile e imperturbabile, tutto ciò che accade intorno a me. Spesso non capisco, nonostante la mia profonda saggezza, gli “esseri mobili” che sono attorno a me, sono incomprensibili. Li vedo compiere azioni che non hanno nulla di naturale, io sono sempre qui e penso, scuoto la mia chioma, aiutato dal vento, in segno di profonda disapprovazione. Gli “esseri mobili” sono capaci di atti affini alla natura, alla loro profonda natura, ma sembrano accorgersene solo davanti ad eventi catastrofici o terribili, allora appaiono veramente in simbiosi tra loro e con il mondo.
 Il mio nome Juglans regia, è un termine latino coniato in onore di Giove: "Jovis glans" cioè la "ghianda di Giove", poiché presso gli antichi “esseri mobili” il noce era l'albero consacrato al re degli dei.Sono alto circa trenta metri, vi assicuro che da quassù ho una visione molto ampia di quello che succede attorno a me, genero una grandissima ombra, ma alcuni degli “esseri mobili” hanno avuto superstizioni al riguardo: è stata convinzione comune che la mia ombra potesse nuocere addirittura alla salute, mai sentite sciocchezze simili da altri esseri.
Non ho un carattere facile, qualcuno mi definisce legnoso, ma come tutti gli scontrosi ho un cuore tenero, che tengo ben nascosto, manifesto la mia vera essenza nelle mie figlie, dure e rugose all’esterno, ma tenere e saporite all’interno del guscio. Le mie piccole care noci, che distribuisco generosamente, nella speranza che le sostanze benefiche in esse contenute generino un effetto curativo sulle menti degli “esseri mobili”: le noci sono “il cibo del cervello”. La loro forma ha forti similitudini con l’encefalo degli “esseri mobili”: il sottile strato verde che copre esternamente le noci, quando sono ancora sui miei rami, è simile al cuoio capelluto. Il duro guscio è paragonabile a un teschio. La sottile membrana dentro, che funge da partizione tra le due metà della noce, è come la membrana cerebrale. La forma della noce stessa richiama i due emisferi del cervello degli “esseri mobili”.
Ho radici molto profonde in grado di assorbire i minerali dalla terra ricca e umida e i miei rami sono molto alti e forti, intrappolano carbonio ed energia dal sole. Alcuni sono arrivati a definirmi come il luogo di riunione delle streghe nella notte di S. Giovanni, raccontavano di voli a flotte attorno a me: stolti! Non credete che me ne sarei accorto? E’ vero però che le mie care noci sono usate anche per produrre un liquore e che, a tal fine, vengono raccolte proprio nel giorno del Santo, che quasi coincide con la data del solstizio (21 giugno), notte benefica con una particolare configurazione astrale.
Sono centenario, in questo lungo tempo vi assicuro che ne ho viste di tutti i colori: quando ero giovane fui colpito di striscio da un fulmine, mi lasciò un piccolo foro nascosto, dove ospito un mio simpatico piccolo amico. E’ veramente minuscolo, ogni volta che passa per la fessura, mi fa il solletico con la sua soffice e gonfia coda, è ghiottissimo delle mie care noci, chiaramente sono felice di nutrirlo. E’ così schivo, veloce, simpatico, agile, mi mette allegria e mi tiene compagnia. Sono abitato da tantissimi altri cari amici, alcuni volano, altri si arrampicano, non trovo davvero il tempo di annoiarmi.
A volte sono preoccupato, gli “esseri mobili” laggiù, riescono a non farmi dormire la notte, stanno rompendo tutti gli equilibri, agiscono senza senso e senza rispetto. Stanno coprendo tutto con una specie di pietra artificiale grigia, non rispettano né noi alberi, né i cari fratelli fiumi, sono responsabili di disastri enormi. Se solo potessi parlare li metterei in guardia, non si può agire in questo modo, le conseguenze si cominciano già a vedere, stanno causando la loro stessa fine. Vorrei spiegar loro che non possono tagliare noi alberi in modo così sprovveduto, le nostre radici tengono ben saldo il terreno, diversamente una grande pioggia comporterebbe, come purtroppo ho già visto accadere, crolli e frane, con enormi perdite sia delle vite che delle loro dimore. Ci sono tante grandi menti tra voi, capaci di capire, prevenire, che fanno? Non potete stare a guardare, non c’è più tempo. Devo trovare il modo di comunicare con loro, ma come posso fare? Non si capiscono tra loro pur parlando la stessa lingua, sono esseri strani potrebbero vivere in armonia tra di loro e con la natura, ma il loro egoismo glielo impedisce. Riesco però a “sentire” alcuni di loro, non riesco a descriverlo, è una sorta di telepatia, sono i più sensibili tra gli adulti e praticamente tutti i loro cuccioli, con loro riesco a comunicare. I piccoli mi parlano tranquillamente, sanno che posso sentirli, le loro vocine sono musica per me, mi rispettano, e non solo perché mi vedono così grande, sono ricettivi, percepiscono la mia bontà. Gli “esseri mobili” adulti sono così ciechi che quando i loro cuccioli mi parlano dicono “che giocano”: non stanno giocando! Esseri sconsiderati, dovreste guardare ed imitare il comportamento dei vostri cuccioli, si rispettano tra loro, se bisticciano un attimo dopo sono di nuovo a sorridere insieme, sono curiosi, intelligenti, si pongono tante domande e tanti perché. E voi? Al “terzo perché” li stroncate con un “perché sì”, voi non avete tempo per loro, siete troppo impegnati a distruggere. A volte sogno, certo, noi sogniamo molto, ma gli “esseri mobili” lo ignorano, immagino un pianeta in equilibrio, dove c’è posto per tutti nel rispetto degli altri, dove la natura offre risorse a sufficienza, nulla è inutile e nulla si getta via, tutto può avere un secondo, terzo, quarto utilizzo. Confido nei “cuccioli”, tutti loro mi riempiono di ottimismo, sono capaci di manifestare sentimenti, sono esseri nobili, capaci di abbracciare un albero, accarezzare una corteccia, annusare un fiore, rincorrere una farfalla, giocare per ore anche solo con un guscio di noce sull’acqua.
Il giorno più brutto della mia vita, lo ricordo ancora, volevano abbattermi, io urlavo nella mia lingua, nessuno poteva sentirmi, ormai ero rassegnato alla mia condanna, ma improvvisamente accadde l’incredibile: era l’orario in cui i cuccioli umani tornano a casa, da quelle che gli “esseri mobili” chiamano “scuole”. Inaspettatamente fui circondato dai piccoli che tenendosi per mano formarono un enorme cerchio intorno a me, iniziarono a girare sempre più velocemente cantando così: “Giro girotondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra”, deve essere sicuramente una formula portentosa ed anche di quelle potenti, perché istantaneamente tutto si arrestò, cadde il silenzio, durò un tempo infinito, poi, il più anziano degli “esseri mobili”, parlò: “Fermi! Cosa stiamo facendo? Quest’albero è qui da sempre, mio nonno da bambino giocava qua, all’epoca non c’era nulla, solo un immenso campo, ora ricordo, è un pezzo di storia, un’opera d’arte, non possiamo, non dobbiamo”. La voce di uno dei più giovani incalzò: “Dobbiamo costruire la superstrada, deve passare da qui!”, di nuovo caddi nello sconforto. Di nuovo partì la formula con tanto di danza: “Giro girotondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra”, i bambini alzarono la voce, sempre più forte e sempre più veloci giravano attorno a me, chiaramente volevano proteggermi, loro, degli esseri così piccoli a fare scudo a un gigante come me, sono meravigliosi. Qualcuno degli adulti provò a portarli via, ma cominciarono a tirar calci, a dimenarsi, a urlare e appena riuscivano a divincolarsi riprendevano il rituale e la danza. Qualche mio antenato mi raccontò che popolazioni antiche usavano danzare in cerchio per riti propiziatori, evidentemente in forma non cosciente i piccoli lo ricordano ancora. Di nuovo l’anziano parlò: “ma non capite? Stanno cercando di fermarci, hanno ragione loro”, il più giovane sempre più inviperito: “la superstrada!”. Allora mi venne un’idea, decisi di giocarmi l’ultima carta: scossi profondamente la mia chioma, immediatamente una cascata di noci invase il terreno…i cuccioli capirono al volo (come sempre), iniziarono, utilizzando sassi, ad aprire i miei frutti, distribuivano le mie noci a tutti, qualcuno iniziò a mangiarle, molti si unirono a loro, pian piano le espressioni di tutti si addolcirono, le sostanze benefiche cominciarono ad andare in circolo, tra poco avrebbero iniziato a ragionare. Il più anziano parlò di nuovo “ Potremmo modificare il percorso, si eviterebbe di abbattere l’albero”, qualcuno fu d’accordo con lui, parlavano animatamente e si confrontavano tra loro, il più giovane parlò: “Dovremmo sentire il tecnico, ci vorrà altro tempo”. Non potevo crederci, i cuccioli avevano insinuato il dubbio, il ragionamento, fu come se avessero acceso in tutti il cervello. A questo punto i bambini ripresero la loro danza sempre più forte e sempre più veloce, stavolta era gioiosa, contagiosa, volevano comunicare in empatia con me.

La mia storia è a lieto fine, sono ancora qui a raccontarla, ma quanti miei cari amici alberi sono stati abbattuti inutilmente? Confido nel potere dei piccoli “esseri mobili”, nella sensibilità di alcuni adulti, nel potere benefico delle sostanze contenute nei miei frutti, credo che alcuni rituali prodigiosi non scompariranno mai, poiché il loro potere risiede nella capacità e nella forza dell’empatia e dell’unione. Il magico mondo del ciclo vitale e della simbiosi tra uomo e natura, unica chiave per l’eternità.
https://www.carabinieri.it/Internet/ImageStore/Magazines/IlForestale/2013/73/files/basic-html/pag40.html


22 NOVEMBRE 2009 - Racconto premiato al Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini  di Roma e pubblicato su raccolta AA.VV., concorso letterario 'Roma da Scrivere' 3^ edizione.

STAZIONE OSTIENSE

Andata:

“Stazione di Anguillara Sabazia, treno regionale proveniente da Viterbo è in arrivo al binario 1, allontanarsi dalla linea gialla”.
 
Sono le 7.37 e come tutte le mattine estive, sono alla stazione, faccio la pendolare, vado a lavorare in treno, non ce la faccio a stare nel traffico anche in estate.
Le scuole sono chiuse, mio figlio è dai nonni al lago ed io rientro la sera dopo una giornata a Roma. Il treno ti permette di pensare, da qui alla stazione Ostiense c’è tempo, tutto il tempo.
Generalmente faccio un gioco, immagino la vita dei miei compagni di viaggio, dai loro atteggiamenti, dal loro modo di vestire, poi passo agli occhi ed infine alle scarpe.

Guardo sempre le scarpe, secondo me identificano perfettamente la persona che le indossa, le scarpe non mentono mai. Ci sono scarpe di tutti i tipi: quelle comode, da ginnastica, magari col cuscinetto ad acqua, tipiche di chi lavora tutta la giornata in movimento oppure in piedi. Quelle basse, rasoterra, a sandalo, per chi ha bisogno di estate, di spiagge, però sta ancora lavorando. Le scarpe col tacco, le mie preferite: tacchi di tutte le forme e di tutte le altezze, guardo con ammirazione le mie compagne di viaggio che riescono a starci arrampicate sopra tutto il giorno. Si siede di fronte a me: scarpa nera, da uomo, consumata sul collo del piede dove il cuoio forma mille pieghe, cammina molto, vestito giacca e cravatta, forse un rappresentante, valigetta 24 ore, fede lucida, musica dal telefonino. E’ stanco, non ama molto il suo lavoro, qualunque esso sia. Valle Aurelia, nodo di scambio con la metropolitana, sale e scende tantissima gente, molti con i giornali formato tascabile, di quelli gratuiti che si auto finanziano con la pubblicità, su alcuni trovi annunci personali, da molti di questi intuisci stralci di vita vissuta. Ci sono messaggi di sguardi, incontri fortuiti di un attimo, persone che si vorrebbero parlare ma non ne trovano il coraggio. Allora puoi trovarti a leggere: alla biondina che tutte le mattine sale alle ore...alla stazione di.. e che ieri era seduta di fronte a me, vestita di rosso, ci siamo guardati diverse volte, vorrei conoscerti, poi un indirizzo e-mail. La tecnologia ci fa raggiungere in un attimo distanze enormi, ma se siamo vicini, ci guardiamo negli occhi, vorremmo parlarci ma non lo facciamo. Spesso succede che un treno venga soppresso (soprattutto in estate) ed allora tutti fermi alla stazione ci si organizza. Scarpe da ginnastica, in genere, estrae nervoso il suo sofisticatissimo e piccolissimo distributore di musica in cuffia. Scarpa nera accende il suo PC portatile, comincia ad organizzarsi il lavoro, magari legge la posta, oppure si prepara per le numerose riunioni della giornata. Scarpe col tacco dipende, dipende dal tacco: tacco stiletto, minimo tacco 9, quasi sicuramente telefona, all’amica, all’amante chissà, il suo telefono è naturalmente ultimo modello, super fashion, lucido da usare anche come specchietto di emergenza per controllare il trucco. Tacco zeppa chiama casa, cerca conforto sul fatto che farà tardi poi magari chiama anche al lavoro. Sandalo si crogiola al sole, sogna spiagge che arriveranno solo ad agosto, con le ferie. Sognare non è un optional, nutre l’anima, ti ricarica, tutto sommato in quest’ottica perdere il treno può essere un bene, uscirai un po’ più tardi dal lavoro ma avrai trovato un po’ di tempo per te stessa. E’ bellissimo guardare dal finestrino soprattutto quando la tendina è un po’ abbassata per il sole, a quel punto alla stazione vedi prima solo i piedi, poi quando la tua scarpa preferita sale puoi inquadrare per intero la persona, coincide sempre con la sua scarpa, ci si potrebbe formulare un teorema matematico, torna sempre. Arrivo alla stazione Ostiense ed ho avuto una casistica di scarpe da far paura, solo alcune però attirano la mia attenzione. Alla mia destinazione arrivano in pochi, anche perché è l’ultima fermata, si scende tutti insieme, dai vari vagoni si forma una discrete folla. C’è la scala che scende dal binario, siamo un po’ insonnoliti dal dondolio del treno, scarpa a zeppa si ferma al primo bar per la colazione, quello sotto il corridoio che porta ai binari, programma tutto al secondo perché oltre alla sua giornata di lavoro, quando torna ha anche la sua famiglia da accudire. Sandalo prosegue dritta, non sopporta gli spazi chiusi, non vede l’ora di arrivare all’aria, alla luce, esce sul portico in marmo bianco, imponente, in uno stile che non ama. Vivere di cose semplici è bellissimo ma nello stesso tempo molto difficile, spesso le complicazioni ce le mettono in testa gli altri, quanto si potrebbe costruire parlando, comunicando con il prossimo, invece no, ci sono persone che parlano senza sapere quello che dicono, per il solo gusto di sentire il suono della propria voce.Tacco stiletto si ferma al secondo bar, si arrampica fascinosa sul suo sgabello altissimo, se la prende comoda, ogni suo movimento è studiato per sedurre, non importa chi, sedurre per il semplice gusto di farlo. Da qui ognuno prende la sua strada, quest’orario è quello di chi lavora, di chi studia. La provenienza è diversa, c’è chi viene da Viterbo e si alza prestissimo, chi parte dai piccoli centri satellite vicino Roma, infine chi prende il treno solo per brevi tratti in città, perché c’è sempre l’aria condizionata e si viaggia meglio che in autobus o in metropolitana.
 
Ritorno:
La mia giornata di lavoro è terminata, faccio una passeggiata, Roma in estate (soprattutto in alcuni orari) è sorniona, assume un aspetto insolito assopito, i rumori sono al minimo, se presti attenzione in un viale alberato puoi anche sentire gli uccellini cantare. La notte cambia
 aspetto, ci sono tutte le manifestazioni estive di musica e cinema, siamo un popolo mediterraneo abbiamo bisogno di stare all’aria aperta. Arrivo alla mia meta, controllo il tabellone delle partenze, ho appena perso un treno, il prossimo sarà tra mezz’ora, cerco il binario, aspetterò sulla panchina al sole. Mi siedo, sono distratta, penso tante cose contemporaneamente senza un filo logico, poi indosso gli occhiali da sole, dopo una giornata davanti al PC ho bisogno di un minimo di filtro, c’è luce, tanta luce. Mentre sono intenta a pulire le lenti si siede affianco a me un uomo, ne sento la presenza ma non me ne curo, poi mi cade qualcosa, come al solito, mi cade sempre tutto, sono un disastro, lui si china e raccoglie il mio foglio, mi volto per ringraziare e mi trovo davanti due bellissimi occhi, non so definirne il colore tra l’azzurro ed il verde, tra cielo e mare, mi sorride, è O.K., è una persona “pulita”, lo sento a pelle. Capelli brizzolati con valigie al seguito (da qui partono treni anche per la Toscana, per la Liguria) chissà dove è diretto. Mi innervosisco perché non riesco a vedere le sue scarpe, sono coperte dai bagagli, accidenti proprio ora che lo stavo per finire di inquadrare. Non mi parla, anche perché indossa le cuffie, sta ascoltando musica, batte il tempo con la mano sulla gamba, un musicista? No, non è esatto, ha una postura eretta, elegante, ama la musica ma non è il suo mestiere, è abituato a mantenere l’autocontrollo, però c’è anche un’artista in lui. La mia attenzione cade su una delle sue borse di quelle con lo scomparto a retina, ci sono delle scarpe: Clark scamosciate. Ma siamo a luglio! Chissà magari viene da un posto di montagna dove la sera è freddo. Il teorema torna sempre, c’è coincidenza. L’annuncio di un treno, per me, incomprensibile, l’altoparlante gracchia qualcosa, capisco solo che deve essere il suo treno, si alza mi fa un cenno con la mano e se ne va, mi sorride, ha un bellissimo sorriso che va oltre il suo autocontrollo, ora è veramente se stesso. Peccato mi sarebbe piaciuto sentire il timbro della sua voce, magari lo rincontrerò tra mille anni…

Al binario ci si ritrova, posso riconoscere tutti i miei compagni di viaggio: c’è sempre almeno una scarpa nera (rigorosamente con PC portatile), tacco stiletto ha lo stesso aspetto di questa mattina, è impeccabile, ma il dover sempre essere perfetta nasconde insicurezza? Secondo me si. Tacco zeppa ha già organizzato mentalmente la cena (ha le buste della spesa, nel tempo di attesa del treno ha approfittato per andare al supermercato della stazione). Arriva il treno, la stazione Ostiense è capolinea, ci sediamo tutti.

Sono stanca, mi assopisco e per un momento sogno, sogno il punto in cui il cielo si incontra con il mare, poi un contraccolpo è la stazione di Cesano, alla prossima devo scendere.
Sono arrivata, un’altra giornata di lavoro è terminata. 
Scusate, dimenticavo, non mi sono presentata: sono sandalo rasoterra, con cinturino alla caviglia, modello “schiava”, schiava della routine quotidiana……ma attenzione al calar del sole mi trasformo “sono tacco 9, cinturino alla caviglia, rigorosamente total black, tanguera”.


 

 

 

 

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